UN NUOVO WELFARE PER L'EDUCAZIONE

Tutti i giorni circa novantamila studenti italiani fanno uso di cannabis. È quanto dice la Relazione Annuale 2017 al Parlamento sullo stato attuale delle tossicodipendenze nel nostro Paese, aggiungendo che ben un terzo dei minorenni delle scuole superiori “sperimenta” sostanze psicoattive. 
Nel pordenonese non è certo sopito il problema, mentre forse è stato anche surriscaldato l’argomento del bullismo. Recentemente in terra friulana è apparso sconcertante il femminicidio perpetrato da un giovane poco più che ventenne.

Di fronte a questa gamma di fenomeni fioriscono i commenti più disparati. Tuttavia è veramente raro riscontrare un’attenzione adeguata al nodo cruciale dell’educazione.
Lo fa invece in modo puntuale la presidente della commissione regionale alle Pari Opportunità Annamaria Poggioli, affermando che è necessario ripartire dall’educazione precoce nelle nuove generazioni, attraverso la cultura del rispetto, dentro un percorso di crescita formativa e culturale che non può escludere nessun soggetto: famiglie, insegnanti, esponenti di associazioni e istituzioni, educatori in genere.

Si tratta però di una concezione sociale che comporta un vero cambiamento culturale. 
La piccola Islanda ce ne dà un esempio con i suoi poco più che trecentomila abitanti. Di fronte al fatto che nel 1997 il 25% dei suoi ragazzi fumava ogni giorno e che il 40% si ubriacava almeno una volta al mese, ha mobilitato governo, istituzioni varie e popolazione in genere, tutti convergenti su direttrici condivise: più tempo dei genitori con i figli negli spazi di tempo libero, limiti nelle uscite serali per i giovanissimi, grande offerta di attività sportive ed extrascolastiche. 
In vent’anni il consumo di cannabis si è ridotto del 60% e l’abuso di alcol del 90%.

È possibile realizzare qualcosa del genere nella nostra realtà, che è molto più complessa? 
Si tratta forse di ispirarsi anche da noi al vecchio detto africano “Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio.”
Certamente un problema che pervade l’intera collettività dev’essere risolto con una soluzione di carattere comunitario. E naturalmente con una visione non solo emergenziale, transitoria o frammentaria, ma assumendo un orizzonte di lunga durata e un impegno sociale articolato. 
Ne va del futuro dei nostri figli. Perché a scuola gli insegnanti diano educazione e non solo istruzione. Perché papà e mamme, spesso disorientati nei compiti genitoriali, siano sostenuti nella preparazione dei figli alla vita. Perché lo sport educhi, oltre che alle capacità competitive, ai valori della crescita umana nei bambini e negli adolescenti che accoglie sui terreni di gioco e nelle palestre. Perché gli animatori del tempo libero, più che esperti di attività da Club Méditerranée, siano testimoni credibili di solidi valori personali e sociali.
E, in particolare perché gli amministratori della cosa pubblica, in mezzo alle enormi difficoltà del loro compito, trovino una coraggiosa ispirazione educativa come anima segreta del loro lavoro.

Affinché questo avvenga, lo stile diffuso di welfare dei decenni scorsi deve compiere un avanzamento deciso: da erogazione di risorse, economiche o assistenziali, verso la creazione di un sistema partecipativo nell’individuazione dei bisogni socio-educativi, di collaborazione in rete nelle iniziative territoriali concrete, nell’instaurazione di un clima di corresponsabilità diffusa, verso una forma di collettività resa progressivamente una effettiva “Comunità Educante”.

Giorgio Tònolo, presidente Asfe